Dalla fine del Trecento la danza iniziò ad abbandonare le valenze simboliche, legate prevalentemente al mondo della festività popolare, per divenire oggetto di una rigida codificazione.
Tale fatto è dovuto alla comparsa, in Europa, di nuovi centri di potere, le corti signorili, che iniziarono ad offrire spettacoli in determinate occasioni festive.
La danza iniziò, da questo momento, ad assumere un ruolo sociale, non soltanto vista come occasione di divertimento, ma parte di un complesso cerimoniale in occasione di feste ufficiali, come le celebrazioni indette in onore delle tappe importanti della vita del signore, quali la nascita, le nozze, le vittorie e le varie investiture.
L’arte della danza divenne così parte fondamentale nell’educazione della nobiltà, mezzo di distinzione tra le èlite al potere e le masse popolari.
Iniziò ad affermarsi la figura del maestro di danza, personaggio di origine prevalentemente borghese, la cui massima ambizione era l’essere investito dell’onorificenza di “cavaliere”. Tali maestri diedero vita ad una vasta produzione di trattati sull’arte della danza, testi che avevano soprattutto una funzione pedagogica, aventi lo scopo di trasmettere le tecniche e le coreografie dei balli alla giovane nobiltà.
Per quello che riguarda l’Italia, fondamentale fu l’attività di Domenico da Piacenza (1390-1470 circa), maestro alla corte della famiglia D’Este a Ferrara e autore del trattato “De arte saltandi et choreas ducendi”. Domenico fu un prolifico creatore di coreografie e la sua attività fu continuata dagli altrettanto celebri Guglielmo Ebreo da Pesaro (1420-1484 circa) e Antonio Cornazano (1429-1484 circa), sui allievi.
Mentre Guglielmo fu autore del “De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum”, trattato che dovette circolare nella maggior parte delle corti italiane in diverse redazioni manoscritte, Antonio fu maestro principalmente al servizio degli Sforza, nonché autore del “Libro dell’arte del danzare”.
Mentre le danze del periodo precedente sono praticamente sconosciute ed impossibili da ricostruire basandosi unicamente su fonti iconografiche, grazie all’attività dei trattatisti quattrocenteschi siamo a conoscenza di molte coreografie e di spartiti musicali che le accompagnavano, e che spesso venivano riportati.
Le forme tipiche del ballo nobile del Quattrocento erano il ballo e la bassadanza. Mentre il ballo poteva essere composto da diversi tempi, aveva un andamento vivace e poteva prevedere anche passi saltati, la bassadanza era composta da un unico tempo, era caratterizzata da movimenti aggraziati ed ondulatori, che prevedevano il sollevamento e l’abbassamento dei corpi ed era sempre accompagnata da una base musicale lenta.
Alla fine del Trecento iniziarono a diminuire le danze che prevedevano una partecipazione collettiva, mentre comparvero coreografie da eseguirsi in coppia o in terzetti. Ad influenzare questo nuovo tipo di coreografia furono soprattutto il tema dell’amor cortese e gli ideali trobadorici, secondo i quali l’amore era l’unico sentimento in grado di nobilitare l’uomo.
Il tema più o meno esplicito delle danze era, infatti, il corteggiamento amoroso, che veniva però sublimato, in quanto il contatto fisico tra i danzatori era spesso limitato alla presa delle mani.
Le danze quattrocentesche tendevano spesso alla spettacolarità poiché, come già ricordato, avevano anche funzione di intrattenimento in occasione di determinate celebrazioni. Non a caso, nei trattati, ampie descrizioni erano dedicate ai gesti ed agli sguardi che i danzatori dovevano scambiarsi. Il numero esiguo dei partecipanti, poi, favoriva la messa in mostra delle doti di ogni singolo danzatore.
Le coreografie venivano ideate anche pensando alla disposizione che avrebbe avuto un eventuale pubblico. Durante le feste i danzatori si esibivano sempre nella parte centrale di una grande sala, mentre gli ospiti assistevano l’evento disponendosi attorno alla scena, su tribune e panche, seguendo precise gerarchie.
La coreografia doveva quindi essere tale da permettere una visione da più punti. I punti di osservazione sopraelevati erano considerati i migliori e privilegiati, poiché permettevano di apprezzare appieno le complesse geometrie che caratterizzavano alcune danze.
Miniatura di Bassadanza tratta da una stesura del trattato di G. Ebreo, 1463, Bibliothèque Nationale di Parigi