Tra Quattrocento e Cinquecento è testimoniata la nascita di un nuovo repertorio di danze, anticipate dall’introduzione della tecnica dell’aeroso, nel corso del XV secolo.
Fu Guglielmo Ebreo ad introdurre la nuova tecnica, secondo la quale i passi di danza andavano eseguiti salendo in “mezza punta”. Il Maestro introdusse così nelle coreografie l’artificio, con l’utilizzo di costruzioni artificiali complesse a discapito di quelli che erano i movimenti naturali del corpo.

Poche sono le fonti relative agli inizi del XVI secolo, dalle quali si può, ad ogni modo, rilevare che le strutture coreiche subirono progressiva semplificazione, probabilmente dovuta al fatto che, in questo periodo, anche il ceto urbano iniziava ad avvicinarsi all’arte della danza, che prima era quasi  unicamente prerogativa della nobiltà.

Agli inizi del Cinquecento iniziarono a diffondersi le scuole di ballo, destinate per lo più alla classe media, che comprendeva studenti universitari, artigiani, mercanti e borghesi. Queste scuole erano spesso osteggiate dalle autorità, poiché considerati luoghi di scarsa moralità, a volte aperti anche durante la notte.

Tra i pochi testi relativi all’arte del danzare di questo periodo potremmo citare i “Balletti composti da Giovannino”, “Il Lanzino” e “Il Papa”.

Le coreografie venivano realizzate soprattutto per danze di tipo sociale, da eseguirsi in gruppo, spesso in cerchio, figura raramente utilizzata nello stile quattrocentesco.
I tre generi più in voga erano il branle (danza di gruppo di origine francese, fortemente pantomimica), il brando (di origine italiana ma ispirato al branle francese, poteva prevedere l’uso di maschere) e la cascarda (altra danza sociale di origine italiana).

La danza sociale è già nota nella metà del Quattrocento, con la nascita di balli di identica struttura ma con nomi differenti a seconda delle zone di diffusione. Tuttavia, è nel corso de Cinquecento che iniziarono a comparire filoni nazionali.

Ad influenzare l’arte coreica in tutta Europa furono soprattutto lo stile italiano e quello francese.
Se la Francia si può ritenere egemone dal punto di vista culturale agli inizi del Cinquecento, i maestri di ballo italiani erano tra i più apprezzati e spesso ricercati, soprattutto grazie alle tendenze di questo periodo, che favorivano i temi classici ed il recupero dei miti antichi.

Frequenti erano gli scambi culturali tra Italia e Francia, dovuti soprattutto all’azione di ballerini e maestri di danza itineranti. In Italia, ad esempio, molto apprezzati erano i musici provenienti dalla Francia, che venivano considerati ottimi esecutori sia vocali che strumentali, tanto che, fin dal Quattrocento, alcuni trattatisti italiani erano soliti usare musiche francesi nell’esecuzione delle loro coreografie (si veda ad esempio la Petit Riense).

Gli scambi culturali erano favoriti anche dal contesto storico: nel 1494 il re di Francia Carlo VIII rivendicò il Regno di Napoli, in virtù di alcuni legami dinastici con gli Angioini. La presenza di truppe francesi in Italia favorì indubbiamente i contatti tra i due popoli.

Un famoso trattatista Cinquecentesco fu Antonio Arena (1500-1550 circa), francese, giunse in Italia proprio come militare. Fu autore di “Ad suos compagnones studiantes”, trattato ironico scritto in lingua maccheronica. Secondo Arena, la danza doveva essere un’attività riservata unicamente a giovani uomini e damigelle, doveva essere sfruttata in quanto occasione di incontro con l’altro sesso, era un rimedio alla tristezza e favoriva l’esercizio fisico. Oltre a riportare numerose coreografie il trattato di Arena è importante poiché ci permette di comprendere meglio il processo di “volgarizzazione” delle danze nel Cinquecento.

Altro famoso trattatista francese fu Thoinot Arbeau (1519-1595), autore di “Orchésographie”, un trattato in forma dialogica, proposto come un metodo semplice per imparare l’arte della danza senza l’ausilio di alcun maestro. Attraverso un ipotetico dialogo tra un allievo e il suo maestro, Arbeau ci descrive le danze sociali più in voga in Europa tra XV e XVI secolo, quali il tourdion (danza veloce, di origine popolare, diffusa soprattutto in ambiente cortese francese), la pavana (danza processionale e solenne, forse ispirata alle basse danze, diffusa in Italia), la gagliarda (danza vivace e saltata, anch’essa di origine italiana) e l’allemanda (danza di coppia tipica della Germania).

Nel corso del Cinquecento le bassedanze tendono a scomparire, soppiantate per lo più da danze più vivaci o con tendenze pantomimiche. Le poche bassedanze superstiti vengono notevolmente semplificate, iniziano ad essere tutte molto simili tra di loro e vengono adattate ad ogni tipo di musica purché in tempo ternario.

La danza perde lentamente la sua connotazione di “arte” ed i trattatisti non sono più in grado di teorizzare idee nuove, ma si ispirano sempre ai loro predecessori quattrocenteschi.

Due possono essere considerati i più grandi maestri di danza del XVI secolo: Cesare Negri e Fabrizio Caroso di Sermoneta.

Negri (1536-1604 circa), fu un importante maestro attivo per il governatore di Milano e la sua corte nonché per la nobiltà lombarda, autore del famoso trattato “Le Gratie d’Amore”(1602), ristampato nel 1604 con il titolo “Nuove invenzioni di balli”.

Ritratto di Cesare Negri tratto da “Le Gratie d’Amore”, 1602

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Caroso (1526-1605 circa), fu maestro e teorico della danza, tenuto in grande considerazione dai suoi contemporanei, tanto che si ritiene essere stato attivo presso le più prestigiose corti italiane (Medici, Farnese, Gonzaga, Sforza) e presso i governatori di Milano, Napoli e Venezia. Fu autore del primo libro a stampa di argomento coreutico, “Il ballarino”(1581), riedito nel 1600 con nuove musiche sotto il titolo di “Nobiltà di dame”, nel quale sono contenute descrizioni di danze in uso in quel tempo, preziose incisioni e intavolature di liuto.

Ritratto di Fabrizio Caroso di Sermoneta

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Entrambi i trattatisti riportano per lo più un repertorio di danze anteriore alla loro pubblicazione, ma che resteranno in voga almeno fino alla metà del Seicento.
Nei trattati, poco risulta essere lo spazio dedicato all’aspetto teorica della danza. Il ballo inizia ad essere visto come strumento di distrazione dalle fatiche quotidiane, allenamento fisico ed elemento di distinzione sociale, in quanto metodo per insegnare le buone maniere.

Illustrazioni dei trattati “Nobiltà di Dame” e “Nuove inventioni di Balli”,
F. Caroso, C. Negri,
1602-04 circa

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La Danza dopo il 500 ultima modifica: 2015-06-15T11:07:00+00:00 da Balestriere